Ho 45 anni e di episodi di violenza ne ho vissuti in prima persona e ne ho ascoltati da amiche, conoscenti, colleghe, mamme…
Ho subito una violenza ogni volta che la mia Libertà veniva limitata da un altro individuo, perché di questo si tratta, di violenza, inutile girarci attorno e come me tante altre donne/uomini/esseri umani.
Non esiste solo la violenza fisica, penso che la violenza psicologica sia devastante quanto quella fisica.
Domandiamoci perché quando abbiamo letto che Giulia era scomparsa con il fidanzato, in tanti/e sapevamo come sarebbe finita, pur sperando di essere smentiti?
Perché purtroppo troppo spesso noi donne siamo vittime anche di noi stesse, della cultura sociale in cui viviamo, dell’educazione che ci è stata data dalla famiglia di origine, dalle “regole sociali”, ma anche vittime della nostra empatia, della nostra compassione verso chi è più debole, della nostra sindrome dell’Eterna Infermiera.. ma qual’è il prezzo da pagare?
Ricordo che anni fa quando ritornai in azienda dalla maternità, avevo necessità di attenermi agli orari d’ufficio e non oltre, per cui di comune accordo con HR cambiai mansione e ufficio. Iniziai a lavorare con una ragazza che, nonostante i diversi anni in azienda, non aveva nessun rapporto con gli altri colleghi. Il primo giorno di lavoro ha tenuto a chiarirmi che io avrei dovuto fare tutto il lavoro che lei mi avrebbe passato e mi chiese già in quel primo incontro di accompagnarla in bagno ogni volta che me lo avrebbe chiesto per tenerle la porta, ne aveva bisogno per far fronte ad un suo trauma passato. Ovviamente le dissi che NON l’avrei accompagnata in bagno e per quanto riguarda la parte lavorativa, avremmo fatto quello che andava fatto nei tempi richiesti e per come il nostro capo avrebbe richiesto.
Sono stati due anni in un crescendo di episodi inqualificabili, capivo che lei aveva dei problemi psicologici, diceva di farsi aiutare ma era evidente che erano problematiche più gravi di come lei ne parlava. Lavoravamo in un open space, tutti vedevano, sentivano e a loro modo mi stavano vicini (perché ad un certo punto fui io stessa a chiedere ai colleghi di non avvicinarsi neanche per scambiare qualche chiacchiera, proprio per evitare che lei ascoltasse i miei racconti). Tutti comprendevano che davanti a una persona fuori controllo c’era poco da fare e non sapevano cosa consigliarmi. Dopo un anno chiesi al mio Referente di intervenire su alcuni episodi evidenti e gravi,lui mi disse che avrebbe provato a farle fare dei colloqui per spostarla d’ufficio e mi chiese di pazientare. Continuò a tormentarmi, quando raccontavo cosa succedeva a casa o alle mie amiche erano tutti increduli.. e alcuni mi dicevano sorridendo o ridendo “Eh, addirittura!” “No, ma dai, non ci posso credere!” “Ma stai scherzando?”.. e quell’espressione così spontanea quanto mi ha fatto male neanche immaginate.
Non riuscivano a spostarla, l’azienda per motivi economici aprì una “finestra” per eventuali pre-pensionamenti ed uscite anticipate dall’azienda, chiesi un appuntamento e raccontando cosa succedeva piansi, era strano, parlavo e mi scendevano le lacrime, senza singhiozzi, senza interruzioni.. io raccontavo e le lacrime scendevano senza freni.
Ricordo quel pianto come fosse successo ieri. Un pianto che aveva un sapore misto di rabbia, di senso di colpa, un pianto liberatorio, fragile, un pianto in cui c’erano gli ultimi 500 giorni della mia vita.. di mattine fatte di “oggi hai parcheggiato in un posto diverso”, “ma oggi non è il compleanno di tua figlia?“, “oggi ti sei vestita così perché hai un colloquio?“, “so che ti hanno dato un bonus, come mai? hai chiesto se lo avrebbero dato anche a me?” .. modificava le mie scritture contabili per non far tornare le chiusure senza rendersi conto che l’utente che modificava veniva registrato dal sistema, rispondeva al telefono dell’ufficio fingendosi me senza dirmi nulla…questi sono solo alcuni esempi. Eppure alla fine son andata via io, loro, nonostante tutto questo fosse sotto gli occhi di tutti, hanno scelto di far uscire me “per non avere problemi con lei”, “tanto tu N. un altro lavoro lo troverai presto” mi dissero incoraggiandomi.
Io ho fatto la scelta giusta per me, l’unica possibile in quel momento per poter tornare ad avere una vita dignitosa e senza paura, io sapevo che era un’ingiustizia.. ma non il fatto che io sono stata costretta dalla situazione a lasciare il mio posto di lavoro, ma l’ingiustizia vera era nel mio quotidiano, nel subire certe scene sotto gli occhi del mio responsabile, non nella scelta di spezzare quel circolo tossico.
Vi lascio qui l’intervento di Cathy La Torre che fece durante il 9 Muse di 3 anni fa… mentre l’ascoltavo dal vivo avevo il cuore in gola perché mi risuonavano forte quelle sue parole: “ingiustizia” non è solo quando si fa qualcosa contro la legge, ingiustizia è tutte le volte che pensiamo “questa cosa non è giusta“ >>> Cathy La Torre 9 Muse
E poi chi se lo dimentica il colloquio di lavoro a 22 anni “Lei ha un fidanzato?” – “Sì, stiamo insieme da qualche mese” – “Avete un progetto di vita insieme?” – “Beh, me lo auguro, stiamo bene insieme” – “Intende avere figli?” – “Mah, prima o poi sì, per ora no di certo, mi sembra prematuro”. Assunsero il ragazzo che come me arrivò alla fine della serie di colloqui.. un caso? Forse.
A voi donne non è mai capitato di sclerare per qualcosa che è andato storto e sentirsi rispondere “stai calma, ma hai il ciclo?” oppure “oggi sei particolarmente carina, come mai? Hai una riunione con i capi? ” …io davanti ad esternazioni di questo genere rimanevo sempre basita al punto che lì per lì non riuscivo a rispondere.. per poi “riprendermi” dopo qualche minuto e pensare “avrei dovuto rispondergli così e così.. ” ma sempre dopo, oggi che sono più “allenata” rispondo.. ma ricordo la difficoltà nel rispondere a tono sul momento.. che peccato..
Poi ascoltai in radio una mattina anni fa la storia di Manuela che lavorava in smart working in un ufficio IT con colleghi in giro per l’Europa. Raccontava che un giorno scrisse ad un suo collega dell’ufficio commerciale che aveva risolto un problema con un cliente “grazie mille ci hai salvati, sei un eroe” o qualcosa di simile. Da quel giorno il collega iniziò tutte le mattine a darle il “buongiorno” nella chat aziendale, iniziò con domande semplici, spontanee: “come stai?”, “cosa fai?” e così via, giorno dopo giorno e piano piano si è avvicinato a lei per conoscerla meglio, i primi tempi lei non ci vedeva nulla di male, nessuna invasione apparente. Ma il giorno che capitò una mancata risposta ad un messaggio personale (non di lavoro) il collega iniziò a scriverle “perché non mi rispondi?” “cosa fai? ti vedo on line” .. e lei subito sentendosi “colpevole” scrisse “scusami, stamattina ho iniziato presto devo chiudere un task e non ho letto” (o qualcosa del genere)… Manuela sentì quel campanello di “violenza” nelle parole del collega alla prima mancata risposta.. ma “quando hai quella percezione la rifiuti”, raccontava con voce dolce e calma, “rifiuti l’idea che qualcuno possa chiederti conto di tuoi comportamenti“.. eppure stava succedendo.
Divisi da kilometri ma uniti da uno schermo e da un lavoro condiviso. Quel disagio nel giro di qualche settimana diventò un problema da gestire. Il collega aveva il suo numero di cellulare aziendale e le scriveva, la chiamava, le faceva complimenti e apprezzamenti non solo per il lavoro svolto ma sul suo aspetto, creava sempre l’occasione per lavorare insieme, lei si sentiva “all’angolo”.. bloccata dal dover lavorare bene e far andare avanti il lavoro per il cliente in comune e quindi questo comportava anche l’essere reperibile sul cellulare aziendale. Lui agli occhi di tutti un collega disponibile, riservato era per lei il peggiore dei “lupi”, ma a chi dirlo? con chi confidarsi? e cosa avrebbero pensato? le avrebbero creduto? mille paranoie e il silenzio.
Lei spaventata da questa morbosità, arrivò a partecipare alle call senza video, aveva tolto anche la foto del profilo così da non ricevere messaggi come “non metti il video ma guardo la tua foto”, aveva avuto la forza di bloccare il numero di telefono nonostante lui davanti a tutti in call la provocasse dicendo che c’era un’urgenza e lei non gli aveva risposto al cellulare..lei “teneva botta” a modo suo pensava che lo avrebbe fatto ragionare, lui avrebbe capito che stava esagerando, lui si sarebbe reso conto.. e invece lui diceva a lei che era lei a provocarlo, a scappare perché le piaceva essere corteggiata..
Un incubo che ebbe però un lieto fine: del licenziamento di lui.
Questa ragazza ci mise dei mesi a parlare rendendosi conto che la situazione non era più gestibile facendo appello al buon senso e quando alla fine crollò in un pianto con un collega , sentendo che lui le credeva, trovò la forza di mostrargli i messaggi e fu così che quest’ultimo la incoraggiò a parlare con l’ufficio delle risorse umane. Il collega commerciale capì che qualcosa stava “succedendo” e pensò bene di cancellare i messaggi dalla chat aziendale, non rendendosi conto che fu di fatto un’ammissione di colpa e non considerando che il backup l’Azienda lo tiene sempre accessibile.
Non tutte le storie hanno un finale da incubo, ma purtroppo sono ancora eccezioni. Dobbiamo tutti insieme far sì che siano la regola.
L’anno scorso sempre al 9 Muse ascoltai la storia di Carlotta Vagnoli, che fino a quel giorno io non conoscevo, son sincera, non trovo il suo intervento per condividerlo, ma fu per me come uno schiaffo forte in faccia, aveva le mani del suo fidanzato convivente intorno al collo bloccata per terra e diceva “dicono che quando stai per morire rivedi tutta la tua vita scorrere come un rvm, io in quel momento vedevo solo gli occhi fissi di lui mentre mi stringeva le mani al collo urlando ti ammazzo”.
Qui un suo intervento in cui dice “ho capito che non ero l’unica sopravvissuta alla violenza domestica che quello che è successo a me non era un episodio “sfortunato” e così ho deciso di farmi portavoce della violenza di genere, di fare Rumore”
Ecco da quel momento in poi io ho sentito che dal 2006, dalla nascita del movimento “metoo”, diventato poi virale nel 2017, c’era ancora tantissimo da fare. Nel 2017 ci fu un boom è vero, si è iniziato a trovare la forza di denunciare non sentendosi “sole”, ma ancora oggi dopo anni, siamo sincere, abbiamo tutte ancora difficoltà ad essere credute nel raccontare un abuso, a non sentirsi protette, tutelate, ad avere paura di reazioni esagerate. Io ho avuto paura tante volte nella mia vita… ricordo da ragazza anni fa ormai, quando tornavo a casa in macchina da sola e nascondevo i miei capelli dentro un cappellino e mettevo gli occhiali da vista e mi toglievo i tacchi in macchina per rientrare verso casa, io ho avuto paura a denunciare un abuso non fisico ma psicologico, paura di non essere creduta, paura di subire domande come “ma tu sei sicura di non averla provocata?”. E quante domande e insinuazioni inopportune si sentono su fatti gravissimi come le violenze sessuali di gruppo… assurdo.
Lo Stato Italiano dovrebbe aiutare in maniera concreta, dovrebbe impedire a chi viene denunciato per stalking di avvicinarsi alla vittima e/o ai suoi familiari. Quante storie ancora dobbiamo ascoltare e quando riusciremo a sentirci libere di dire di NO.
Io provo a dare il mio contributo, sostegno e ascolto a chi ne ha bisogno, ma capisco che il supporto di cui si ha bisogno non è solo da parte di chi ci sta accanto in famiglia tra gli amici.. serve il supporto di professionisti, dello Stato, della cultura sociale che accompagna la crescita dei nostri figli.

Lo scorso 25 Novembre moltissime persone sono scese in piazza a manifestare per chiedere più leggi, più diritti, per sensibilizzare gli uomini di oggi e i ragazzi a rispettare non solo le donne ma il rispetto verso l’essere umano, verso la libertà.
Figlia mia Impara a dire NO, Impara a DENUNCIARE, Impara a non avere SENSI di COLPA, chi ti fa del male deve stare fuori dalla tua vita con tutti i mezzi a disposizione. Se qualcuno ti giudicherà male ricorda che il giudizio rimane in bocca a chi lo dà.
Per avere aiuto o anche solo un consiglio si può chiamare in qualsiasi momento Help Line Violenza e Stalking al 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari).
e voi che cosa pensate di questo periodo storico non solo per la violenza sulle donne ma in generale sulla violenza di genere? spero non abbiate mai vissuto esperienze di violenza, ma cosa vi sentite di fare/consigliare quando si subisce una violenza? vi fidate delle misure restrittive che lo Stato mette in atto? Se conoscete qualche associazione segnalatela nei commenti..
..unisci anche tu il tuo puntino…
