In questi giorni ho iniziato e mai finito diversi post, questo per me è un vero periodo di cambiamento, uno di quei periodi in cui metti a fuoco l’obiettivo cerchi di raggiungerlo e una volta raggiunto sei talmente stanco che alla meta non riesci quasi a gioire per come vorresti… e quindi il post che racconta il mio cambiamento lo rimando a tra un po’…

In questi giorni più che mai si sente parlare ancora una volta purtroppo di atti terroristici su civili inermi e indifesi che subiscono senza potersi difendere nelle proprie città in momenti di vita quotidiana come durante una passeggiata ai mercatini di Natale o mentre si va ad assistere ad un concerto. I video che si vedono in tv non fanno altro che seminare insicurezza, paura, e senso di impotenza fra la popolazione al punto che se si è prenotato un weekend in una capitale europea in molti decidono di rinunciarvi.
Quante volte ci siamo chiesti: “ma chi sono questi terroristi? sono “persone” che uccidono in nome di chi? in nome di cosa?”, cosa può spingere un uomo ad uccidere un altro uomo investendolo volontariamente, accoltellandolo o facendosi saltare in una piazza? questi atti che sembrano irrazionali agli occhi della maggior parte della gente nascono spesso dalle fragilità umane.

I terroristi di oggi legati all’Isis, dagli studi fatti, sono per l’80% figli di immigrati, ragazzi giovani tra i 18 e i 25 anni che vivono in Occidente e che hanno una vita quotidiana fatta di routine che all’apparenza è simile a quella di tutti noi.
Questi giovani vengono spesso reclutati sul web, a volte iniziano inconsapevolmente, mossi dalla curiosità, dalla ricerca di qualcosa di diverso dalla loro vita di tutti i giorni, sembra che ciò che attrae di più un ragazzo giovane è la possibilità di vivere in prima persona “una vera avventura” come quelle che si raccontano nei film, e se a questo si associa la difficoltà di integrazione e le relazioni familiari strette e costrette “il gioco è fatto” (spesso kamikaze e terroristi hanno legami di parentela tra loro).
La mia riflessione è molto semplice, mi chiedo: l’attenzione dei media, non solo sulle dinamiche degli atti terroristici, ma anche sui profili umani di queste persone che uccidono in maniera fredda altre persone che vanno ad assistere ad un concerto o che passeggiano al centro di una capitale europea, non è forse una inconsapevole propaganda strumentale all’Isis e al suo messaggio di terrore?

 Ogni servizio di informazione diffonde un messaggio negativo e preoccupante: il prossimo terrorista che colpirà può essere il nostro vicino di casa, o il nostro compagno universitario o anche il ragazzo che prende l’autobus con noi tutte le mattine e questo induce ad aprirsi sempre meno all’integrazione degli immigrati in Occidente.

La mia domanda è: siamo sicuri che parlare e diffondere informazioni sempre più dettagliate, non solo sulla dinamica sull’accaduto, ma anche sulle personalità dei giovani reclutati dall’Isis per giorni e giorni non sia, involontariamente, un manifesto ad avvicinarsi e a documentarsi sull’organizzazione dell’ odio con il rischio di innescare ciò che viene definita sindrome di Stoccolma?
La sindrome di Stoccolma è una reazione emotiva estrema per cui si è terrorizzati da qualcuno che può farci del male in qualsiasi momento ma lo si segue e si cercano informazioni in maniera compulsiva arrivando al punto di esserne attratti e legarsi proprio al carnefice che ci terrorizza (anche se è lontano fisicamente o addirittura on line) al punto di arrivare ad immedesimarsi e quindi a voler far parte dell’organizzazione in maniera attiva cercando anche un personale “riscatto sociale” in caso di isolamento e mancanza di integrazione.

…tu cosa ne pensi? Cosa succederebbe se dopo un atto terroristico si spegnessero le luci sull’accaduto?…

…unisci anche tu il tuo puntino…