Il mio post di oggi è dedicato a tutte le persone che sanno, o almeno si son fatte un’idea su, cosa vuol dire Lavorare. A Voi voglio dire: Valorizzatevi.
Ogni posto di lavoro che ho avuto il piacere o il dispiacere di avere, mi ha insegnato che il “saper fare il proprio lavoro” è una delle idee più astratte e personalizzabile tra quelle che la vita ci pone davanti.
Da piccoli i nostri genitori ci hanno spiegano che lavorare è importante per poter avere delle soddisfazioni personali, economiche e perché no anche dei “riscontri sociali”. La nuova generazione di genitori ha introdotto il concetto del “se hai una passione e sei bravo, cerca di farne il tuo lavoro”, questo passaggio credo sia un evoluzione importante da parte di molti che hanno seguito le orme del padre o della madre anche a costo di trascurare le proprie attitudini.
Il mio lavoro, o più in generale il mio curriculum vitae, rispecchia la mia vita e le mie scelte. Quando durante i colloqui di lavoro parlo delle mie esperienze lavorative non riesco a scinderle dalle mie scelte personali e devo dire che questo in alcuni casi lo rende più interessante di altri CV. Alla luce di questo, realizzo che io sono senza dubbio una donna che ha cercato di non vivere vite parallele tra la vita privata e quella lavorativa e se una ha condizionato l’altra è stata sicuramente quella personale su quella lavorativa, e onestamente, salvo momenti di sconforto vissuti raramente (per fortuna), devo dire che per me è stata la scelta vincente.
Quando ero giovane, al mio primo lavoro, puntavo molto sull’acquisire più competenze possibili e allo stesso tempo approfondirle, ho imparato il rispetto per il ruolo degli altri e questo rispetto mi ha portata in maniera spontanea a collaborare con tutti o come si dice in gergo a “far squadra”. Avevo subito capito che dovevo coltivare bene quell’orticello che avrebbe fatto di me una persona preparata e di aiuto concreto nella mia Azienda… ed infatti dopo solo tre anni di lavoro, hanno scelto proprio me tra tutte per un ruolo “chiave” in un momento di svolta della Società, il cambio del gestionale aziendale.
Mi è capitato anche nelle esperienze successive di vedere persone nuove arrivare, più o meno qualificate, più o meno collaborative e ben disposte, mi è capitato di sentire i banali e frequenti commenti sullo stipendio di uno o dell’altro, ma mi son sempre tirata fuori da questi discorsi negativi e di poca sostanza. Intendiamoci, ho visto gente poco preparata “vendersi” bene, ma ho sempre pensato: “Buon per lui/lei, il mio lavoro andrà avanti con o senza di lui/lei e il suo stipendio da favola. Il suo stipendio non abbassa di certo il mio, speriamo si accorgano anche di me un giorno!”. Incrociare le braccia perché l’Azienda ha preferito prendere qualcuno dal mercato del lavoro piuttosto che promuovere “me” non è mai stata per nessuno la strada vincente.
La vita lavorativa rispecchia la vita di tutti i giorni, soprattutto oggi come oggi in cui il mercato del lavoro è al 99% gestito on line dove tu, volente o nolente, ti presenti con la tua valigetta di conoscenze e devi essere bravo a venderti come fossi un prodotto, a valorizzare i tuoi punti di forza e migliorare il più possibile i tuoi punti di debolezza. E’ così. Le regole sono imposte, bisogna accettarle e provare a metterle a proprio favore.
La mia personalissima idea è che l’ambiente di lavoro è come una “barca a remi”, se tutti danno il loro contributo la barca si muove. E quel qualcuno che si ferma o che rema con meno vigore va aiutato a trovare nuovi stimoli. Il contributo di ognuno non è solo nella registrazione delle fatture, o nelle vendite o nei report, ma anche nel saper accogliere le persone, nell’instaurare un rapporto di rispetto, nella fiducia reciproca tra datore di lavoro e lavoratore.
La ricordo come se fosse successa ieri e invece è passato già un anno dalla mia prima volta.
La prima (e unica fino ad oggi) volta che ho chiesto in maniera espressa al mio capo un aumento di stipendio.
Non immaginate l’emozione che avevo prima dopo e durante il colloquio. Vi racconto com’è andata: dopo un anno e mezzo dal mio arrivo in quell’ufficio molte cose erano migliorate a detta di tutti in Azienda, e questi miglioramenti non li notavano solo i colleghi ma anche i Clienti e i Fornitori, quindi persone / enti esterni alla struttura. Visto che anche il merito mi era riconosciuto dall’esterno e considerato che l’altra collega non solo non partecipava ai miglioramenti ma anzi spesso mi era di ostacolo, decisi che era giusto chiedere ciò che sebtivo fortemente di meritare.
Anche in situazioni lavorative precedenti a questa sapevo di meritare un aumento di stipendio, passati in media i primi due anni, ma non ho avuto mai il coraggio di chiederlo apertamente, forse non ero maturata abbastanza come persona così come la stima di me stessa da riuscire a fare il passo di chiedere apertamente togliendo l’alibi del “arriverà, me lo merito, lo sanno, appena possibile arriverà”…
Insomma misi a fuoco che avevo bisogno di un riconoscimento del mio operato anche a livello economico oltre che “di pacche sulle spalle” e così decisi di fare questo passo. Per “darmi forza” decisi di mettere nero su bianco “i 10 motivi per cui io merito un aumento di stipendio”. Questo era il titolo dell’elenco che, una sera qualunque, ho buttato giù senza nessuna fatica, l’unico impegno reale fu nel mettere le motivazioni in ordine di “importanza” per poterci sopra costruire un discorso.
Il giorno dopo chiesi un colloquio al mio capo che me lo concesse per una mezz’oretta prima della pausa pranzo, dovevate vedere che faccia ha fatto davanti a quella lista che abbiamo letto insieme e sulla quale non ebbe nessuna domanda da pormi. Si congedò riconoscendomi il merito di aver stilato la lista che avrebbe sottoposto al Responsabile HR “per vedere cosa si può fare tenendo conto del momento difficile dell’Azienda”.
Avevo il cuore e 3.000, sono uscita dalla saletta riunioni a vetri con un sorriso da orecchio ad orecchio al punto che la mia Amica Y. pensava che avessi già ottenuto una risposta positiva. Ma il mio sorriso era semplicemente la soddisfazione di avercela fatta., nella mia mente mi ripetevo “l’ho fatto davvero! Ho chiesto un aumento di stipendio! Ci sono riuscita!”
Quell’incontro, quella richiesta, quell’elenco dimostravano ai miei occhi il rispetto che io ho per me stessa, per il mio impegno. Sentivo di aver fatto qualcosa che dovevo a me stessa, alla mia serietà, alla mia volontà di far sempre bene e alla mia persona.
Se pensate di meritare di più, economicamente e non, non rimandate. Fermatevi e Valorizzatevi, fatelo Voi, non aspettate dagli altri potrebbe non arrivare… o forse sì, ma nel dubbio…
Il lavoro è stato anche il rifugio in momenti in cui la mente andava su pensieri negativi, su problemi e momenti tristi. Il lavoro, che a volte ti pesa, in altri momenti ti regala la possibilità di staccare la spina dal mondo esterno, soprattutto quando quest’ultimo ti mette davanti a periodi difficili da affrontare.
Per concludere penso che il lavoro è un buon compagno di vita, da molti punti di vista ed è per questo che non mi piace l’idea di non lavorare.
…e a te è capitato di “farti valere” sul lavoro?… che ruolo ha il lavoro nella tua vita?… e se stai ancora studiando, come lo immagini il tuo lavoro futuro?
…unisci anche tu il tuo puntino…
Ci si puo valorizzare quando si lavora per un’azienda che fa andare avanti i più capaci e non i lecchini o quelle che la danno. Mi dispiace ma l’ambiente di molte aziende è questo e non vale esser capaci, anzi più sei capace e più cercano di stroncarti. Ho visto gente licenziata, trasferita solo perchè ritenuta troppo in gamba.
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Purtroppo so bene che è così ma bisogna davvero essere coraggiosi e tentare e a volte se necessario aver la forza si cambiare…
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